Schema della seconda rivoluzione industriale: le trasformazioni

Dove nasce, come si sviluppa e che trasformazioni comporta la seconda rivoluzione industriale: riassunto dell'evento che segnò la fine dell'800

Schema della seconda rivoluzione industriale: le trasformazioni
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SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE: SCHEMA

Seconda rivoluzione industriale: riassunto e invenzioni
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Per seconda rivoluzione industriale si indica quel periodo degli ultimi trent'anni del secolo XIX durante il quale il sistema dell'economia capitalistica subì alcune trasformazioni che lo cambiarono definitivamente.

Le conseguenze della seconda rivoluzione industriale si possono riassumere come segue: 

  • Cambiarono le tecniche produttive con la nascita di nuove branche dell'industria;
  • Cambiarono i rapporti tra i vari settori della produzione e quelli tra i poteri statali e l'economia nel suo insieme;
  • Cambiarono anche i rapporti economici internazionali e le gerarchie mondiali della potenza industriale.

Uno dei segni più vistosi della nuova stagione fu il declino dei valori della libera concorrenza, che avevano largamente ispirato nel ventennio precedente le teorie degli economisti e le scelte dei governanti. Le nuove dimensioni assunte da un mercato internazionale dove diventava sempre più difficile farsi largo e l'esigenza di aumentare continuamente gli investimenti spinsero gli imprenditori a cercare nuove soluzioni al di fuori dei canoni liberisti.

Nacquero così le grandi consociazioni (holdings) per il controllo finanziario di diverse imprese; i consorzi (cartelli o pools) fra aziende dello stesso settore che si accordavano sulla produzione e sui prezzi; le vere e proprie concentrazioni (trusts) fra imprese prima indipendenti. Fenomeni di questo genere non erano nuovi nella storia del capitalismo industriale, ma ora assunsero dimensioni imponenti, soprattutto negli Stati Uniti e in Germania, fino a determinare in qualche caso un regime di monopolio.

SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE: RIASSUNTO

Famiglia attorno al grammofono
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Un ruolo decisivo, in questi processi, fu svolto dalle istituzioni finanziarie. Solo le grandi banche potevano assicurare gli imponenti e costanti flussi di denaro necesari alla nascita e alla crescita dei colossi per i quali i profitti, per quanto elevati, non erano sufficienti a ricostituire il capitale di investimento. Fra banche e imprese si venne così a creare uno stretto rapporto di compenetrazione: le imprese dipendevano sempre più dalle banche per il loro sviluppo e le banche legavano in misura crescente le loro fortune a quelle delle imprese. Questo intreccio fra industria e finanza fu definito dagli economisti marxisti col nome di capitalismo finanziario.

Con il tramonto dei principi liberisti, i governi delle grandi e piccole potenze vennero man mano allargando i loro interventi in favore dell'economia nazionale. Questi interventi potevano prendere la forma di sostegno diretto alla grande industria, attuato per lo più mediante le commesse per le forze armate (fu questo, in particolare, il caso della Germania); ma soprattutto si esercitavano attraverso l'inasprimento delle tariffe doganali, volto a scoraggiare le importazioni e a proteggere in tal modo la produzione interna.

Anche in questo caso fu la Germania di Otto Von Bismarck a indicare la strada varando, nel 1879, nuovi dazi fortemente protezionistici. Solo la Gran Bretagna, patria del liberoscambismo e primo paese esportatore del mondo, restò estranea alla tendenza generale, ma ne fu doppiamente danneggiata, in quanto vide ridursi gli sbocchi di mercato per le sue merci e dovette assistere allo sviluppo delle industrie nei paesi concorrenti, protetto dalle barriere doganali.

Alla perdita del primato industriale e alla riduzione dei suoi spazi commerciali in Europa, la Gran Bretagna reagì rinsaldando e ampliando il suo già vasto impero d'oltremare e intensificando gli scambi con le colonie.

Tram a Londra nel 1861
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La ricerca di nuovi mercati per i propri prodotti, di nuovi rifornimenti di materie prime, di nuovi sbocchi per l'investimento di capitali fu del resto comune, in questo periodo, a tutte le economie più avanzate. Soprattutto nell'ultimo ventennio del secolo la corsa ai nuovi mercati assunse proporzioni macroscopiche: tanto da costituire uno dei tratti distintivi di quella fase della storia del capitalismo cominciata negli anni '70 e ancora oggi comunemente identificata con l'età dell'imperialismo.

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